"Una Lettera per Momo" di Hiroyuki Okiura, 2011. |
"Una Lettera per Momo" (2011, Production I.G, Studio Pierrot) è un delicatissimo film d'animazione diretto dal grande Hiroyuki Okiura; per intenderci il talentuoso artista che è stato character design, animation supervisor e layout artist del "Ghost in the Shell" di Mamoru Oshii.
Okiura, prima di Momo, aveva già fatto esperienza di direzione nel 1999, quando si era dedicato a "Jin Roh: the Wolf Brigade", diventato un classico, e le sue partecipazioni come key animator riguardano pellicole di altissima levatura, come "Akira" (1988), "Venus Wars" (1989), "Patlabor: The Movie" (1989), "Roujin Z" (1991), "Memories" (1995), "Blood: The Last Vampire" (2000), il "Metropolis" di Rintaro (2001), Paprika (2006), Evangelion: 3.0 You can (not) Redo" (2012) ed anche l'originalissimo "Cowboy Bebop: The Movie" (2001) di cui è stato pure opening credit sequence director.
Personalmente, lo ricordo sempre come l'animation director di una serie che ho molto amato "Record of Lodoss War" del 1990 oltre che come assistant animation supervisor di "Patlabor 2: The Movie".
Senza indugiare sulle tante altre cose alle quali ha lavorato, questa "Lettera per Momo" di cui, alla Tezuka, cura quasi ogni aspetto (regia, soggetto, sceneggiatura, storyboard ed il character design con Masashi Ando) ce lo fa vedere in una versione più umana del solito; e più riflessiva.
Fin dall'inizio l'opera si rivela di elevata fattura e di grande "pulizia artistica"; si capisce subito cioè con che cosa si ha a che fare, un film che, quantomeno delizierà il "palato visivo" dei più esigenti amatori del genere.
Il tutto, coadiuvato dalla buona fotografia di Koji Tanaka e dalla eccellente direzione artistica di Hiroshi Ohno la cui attività ha spaziato da titoli come "Akira" (art) a "Ghost Hound" (background art) a "Jin Roh: The Wolf Brigate" (background art) a "Kiki's Delivery Service" (art director) a "Wolf Children" (art director) e tanto ancora.
Okiura costruisce il film su un filo conduttore che è quello d'una vita come tante, funestata da una tragedia e destinata a difficili cambiamenti.
Sulla eccessiva semplicità della trama, rimarcata da una parte della critica, non mi trovo pienamente d'accordo; ma immagino che in molti casi ci si riferisca più alla linearità di essa che non alla complessità d’insieme.
E’ presente, nella storia, un evidente richiamo alla funzione catartica delle origini contadine ed al profondo senso di religiosità legato alla natura ed ai suoi Kami.
Ikoku Miyaura, rimasta vedova, non cerca sfogo e risposte nella banalità della vita cittadina. Piuttosto tenta la carta delle radici, del ritorno alla terra ed agli affetti che l’hanno vista affacciarsi alla vita.
Perdere un compagno amato, sebbene spesso assente, è stato "il colpo" che l’ha costretta ad imporre anche alla figlia Momo le proprie scelte.
Il calore umano della ritrovata famiglia di Ikoku invade personaggi e spettatori.
I vecchi zii, che ricordano un po’ l’anziana coppia di “Tokyo Story” di Ozu, accolgono nipote e pronipote con l’amore di chi sa che le “assenze” e le “dimenticanze” sono più legate alle necessità contingenti che non ad un semplice egoismo.
Momo stenta a ritrovare sé stessa oltre che per la variazione della topografia abituale anche per via un “vuoto esistenziale” che è un “pieno di sofferenza” dovuto alla scomparsa del padre al quale aveva augurato la morte poco prima che si verificasse e del quale aveva trovato una lettera, a lei indirizzata, solamente iniziata e mai ultimata: "Cara Momo ...".
"Cosa volevi dirmi, papà?", continua a chiedersi inquieta la ragazzina.
Non è semplice per l'undicenne elaborare un simile lutto; e questo determina una incapacità a relazionare che le fa vivere con grande indifferenza la nuova realtà e le nuove amicizie prima della scoperta dei demoni.
Tutto avviene come nella più classica delle favole: "Una bambina, in una vecchia soffitta trova un vecchio volume illustrato e ..." ...e l'avventura di Momo ha inizio.
Un errore che temo il grande Okyura abbia commesso è, a mio parere, quello di manifestare troppo presto i demoni alla bambina.
In un film di due ore si poteva optare per tenere ancora un po’ gli spettatori con il fiato sospeso sullo sfondo di una prospettiva di profondità più estesa (anche concettualmente!).
Oltre alla eccessiva linearità di cui sopra, ad esempio è troppo evidente il legame scenico con “Il mio vicino Totoro” e con “La Città Incantata” reso ancora più chiaro dal disegno e dalle animazioni “splendide” di Masashi Ando (ultimamente impegnato anche in Kaguya Monogatari).
Eccessivamente brevi, inoltre, i tempi in cui Momo metabolizza la manifestazione dei demoni ed eccessivamente banalizzate le caratteristiche di Iwa, Kiwa e Mame.
Questo film è comunque ricolmo di “punti di forza”.
E’ dai tempi della piuma di Forrest Gump che non assistevo ad un espediente introduttivo dello stesso livello, qui rappresentato dalle tre gocce che precipitano su Momo e che alla fine del film ritornano al cielo.
Vogliamo tacere della meravigliosa scena degli “spiriti” di varia foggia che proteggono Momo sul ponte mentre si reca dal medico per salvare la madre o dell’inseguimento dei cinghiali sulla collina?
Okyura firma davvero con questa “Lettera per Momo” (quella mai ultimata dal padre e che lei riceverà, secondo lo stile stringato dello scienziato, grazie ai demoni) uno dei capolavori della recente animazione giapponese orientandosi sulle vie collaudate di Miyazaki, con qualche striatura sentimentale alla Satoshi Kon.
Non ricordavo dove avessi visto un corpo tanto ben ideato quanto quello di Ikoku Miyaura, quand’ecco ritornarmi in mente la dottoressa “Atsuko Chiba” di “Paprika” al quale ha lavorato, guarda caso, anche Masashi Ando.
Animazione, montaggio, direzione artistica e “character design”, oltre agli splendidi sfondi, sono davvero la “marcia in più” di questo splendido anime che non può non meritarsi un posto di rilievo nelle nostre videoteche.
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