Molti li hanno visti dal vero, altri solo in foto, ma queste piccole statue spesso vestite di rosso, quasi sempre poste lungo il ciglio della strada, sono certamente qualcosa che salta all'occhio e si imprime nella memoria del viaggiatore reale o virtuale come parte integrante del tipico paesaggio giapponese. Ma cosa sono, o meglio, chi rappresentano queste figure e perchè sono così diffuse?
Queste statue, di solito scolpite direttamente nella pietra, rappresentano Jizo Bosatsu (o in sanscrito Ksitigarbha Bodhisattva) e di solito lo raffigurano in piedi, con un'espressione pacifica sul volto, gli occhi chiusi, spesso un berretto fatto a mano in testa e una collana di perle intorno al collo.
Nella mano sinistra tiene il Mani, un gioiello in grado di esaudire i desideri, e nella destra invece ha il Shakujo, un tipico bastone da monaco con in cima sei anelli e dei sonagli, usato per avvertire insetti e altri piccoli animali del proprio arrivo in modo da non calpestarli inavvertitamente: questo bastone tradizionale è un attributo dei monaci di alto rango nei templi buddhisti cinesi.
Il loro culto infatti è stato introdotto in Giappone dalla Cina durante il periodo Nara (710 – 794 d.C.) dalle sette zen Tendai e Shingon. Con il tempo il loro ruolo è cambiato ed ha assunto caratteristiche tipiche anche di alcuni kami shintoisti. Sono dei piccoli Bodhisattva, coloro cioè che pur avendo raggiunto l’illuminazione, rinunciano al Nirvana e rimangono in questo mondo per aiutare l’umanità a redimersi.
Gli ideogrammi che compongono il loro nome significano terra (ji) e grembo (zo), ma quest’ultimo può significare anche tesoro, quindi il loro nome può essere tradotto come grembo della terra oppure tesoro della terra.
Sono tre le prerogative principali che gli vengono attribuite:
1) Jizo protettore dei viaggiatori
Questo è il principale motivo per cui le sue statue sono così diffuse e perchè è spesso la prima divinità con cui si ha a che fare quando si mette piede in Giappone. Lo si può trovare in piedi agli incroci, fra l'erba lungo una strada di campagna, a sorvegliare dei confini o seduto in un rifugio di legno costruito appositamente per lui.
Spesso è nei templi e a volte è raffigurato con un bambino in braccio. Si può quindi dire che si trovi ai confini tra luoghi fisici e spirituali, tra qui e là, tra la vita e la morte.
2) Jizo, protettore dei bambini
Ma soprattutto Jizo si prende cura delle anime dei bambini non nati e di quelli che muoiono molto piccoli. Si crede che questi spiriti dimorino nel Sai no Kawara, la riva sassosa del fiume degli Inferi, l'equivalente del nostro Limbo, e che non riescano a passare dall’altra parte perchè i demoni impediscono loro di salire sulla barca che porta le anime verso la pace eterna. Così passano il tempo a impilare pietre una sull'altra, creando piccole torri o stupa, per aiutare i loro genitori a maturare note di merito per la loro vita ultraterrena.
Fanno questa buona azione nella speranza che ciò permetta loro di attraversare il fiume, ma ogni sera le torri di pietra vengono distrutte dai demoni e senza lamentarsi loro ricominciano da capo. E' per questo che spesso di fronte alla statuetta si vedono dei sassolini ammonticchiati: le madri, ma anche le persone comuni, li lasciano per aiutare i bambini a raggiungere i loro obiettivi nell'aldilà. Spesso vengono anche lasciati giocattoli, caramelle o frutta come offerta.
E per lo stesso motivo, queste statue sono quasi sempre adornate con piccoli bavaglini colorati, ma anche con cappelli, abiti o mantelline cuciti o fatti comunque a mano. Il colore più usato è il rosso, perchè rappresenta la sicurezza e la protezione ed era indossato anticamente dai bambini, ma si possono trovare anche molti altri colori e stili.
Di solito sono le donne locali a prendersene cura, rinnovando una pratica comune della religione buddhista che prevede che si possano ottenere indulgenze dalle divinità prendendosi cura di un monaco e Jizo è appunto una sua rappresentazione.
3) Mille Jizo, per sorvegliare il Muen Botoke
Infine il culto di Jizo è legato anche al suo ruolo di sorvegliante del Muen Botoke, cioè delle tombe dimenticate degli antenati. Si possono trovare a volte pile di lapidi abbandonate, radunate e legate insieme sempre da pettorine rosse, protette da grandi gruppi di statue di Jizo, custodi delle anime perdute, dette Sentai Jizo, i Mille Jizo appunto, che incarnano le preghiere e le emozioni dei familiari dei defunti, diventando una sorta di "icone viventi" con il potere di salvare altri esseri sulla terra.
Se in Epoca Tokugawa (1603 – 1867) non esistevano riti funebri per i bimbi mai venuti alla luce e le madri semplicemente li affidavano al Bodhisattva Jizo, perchè li facesse rinascere presto in una nuova e migliore esistenza, in epoca Meiji (1868 – 1912) il modello di una famiglia prolifica fu esaltato dalla propaganda di regime. Nella prima metà del ’900 ciò portò a reprimere l’aborto, condannato sia moralmente che ideologicamente, in quanto tradimento verso la nazione; gradualmente furono varate leggi sempre più restrittive contro l’aborto e l’infanticidio, fino ad arrivare a eliminare qualunque sistema di controllo delle nascite.
Fu così che anche la figura del bambino morto cambiò: se nell’epoca precedente era dimenticato e il suo spirito scompariva, adesso invece appare, lo si raffigura, lo si rende presente, ma in una dimensione di totale solitudine e di infinita tristezza, diventando una creatura inquietante ed evanescente, tanto che per definirlo si inizia a usare la parola "mizuko" cioè “bambino d’acqua”. Lo si associa al liquido amniotico, essendo tale la sua natura, liquida, informe e trasparente.
E' nel dopoguerra che questo culto definisce chiaramente la sua simbologia e i suoi rituali e a partire dagli anni ’70 si diffonde in modo impressionante e a tutti i livelli sociali, tanto che alcuni templi, sono dedicati solo ad esso.
Di solito la donna che ha avuto un aborto si reca una o anche due volte al mese al tempio prescelto, talvolta anche molto lontano da casa, per preservare riservatezza e anonimato. Qui ha acquistato una piccola statua di pietra, spesso scolpita con i tratti di un bambino; i monaci provvedono a collocarla in un luogo apposito e la donna la veste con un berrettino rosso, un bavaglino o una piccola mantella. Inoltre davanti alla statuetta sono accese candele e incensi, vengono recitati dei sutra e poste delle offerte, come un ciucciotto, un biberon di latte, delle caramelle o dei piccoli giocattoli.
Molti però criticano questo culto e accusano aspramente i templi buddhisti di approfittare dei sensi di colpa della donne per ottenere lauti guadagni, questo perchè ancora oggi in Giappone la maternità serve a legittimare almeno in parte la sessualità delle donne.
Nella società contemporanea si assiste a uno scontro tra la situazione reale della donna, che conquista piano piano potere e indipendenza sessuale, e la vecchia visione della donna, il cui unico ruolo era quello di madre prolifica e moglie fedele. Perciò il dolore per l’aborto viene trasformato in un senso di rimorso di fronte al fallimento di un ruolo sociale difficile da modificare.
E quindi anche lo stesso mondo buddhista si divide: alcuni maestri infatti rifiutano la concezione negativa che si dà ai bimbi mai nati, ovvero il Tatari, la forza vendicativa dello spirito inquieto, negando che essa appartenga al patrimonio del buddhismo.
Fonti consultate:
www.japantimes.co.jp
www.wikipedia.it
www.sabrinamiso.com
www.uotw.wordpress.com
Autore: Hachi194
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